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    Quando avevo trovato un posto insieme a mio padre alla fabbrica in cui lui lavorava avevo creduto ingenuamente che tutti i nostri problemi si sarebbero risolti, che con il mio contributo le cose sarebbero migliorate, ma mi ero completamente sbagliata, il mio aiuto non avrebbe cambiato nulla. Me ne rendevo conto solo in quel momento, dopo averlo perso ed essermi ritrovata a fare qualcosa per cui la mia coscienza non mi avrebbe perdonata molto facilmente, ma in fondo non chi si poteva permettere una coscienza vivendo come io, la mia famiglia e i miei amici vivevamo? Avrei dovuto ergere l'ennesima statua a Regan, se non fosse stato per lei mi sarei ritrovata ancora in mezzo a una strada a mendicare un lavoro. Sembrava assurdo che in un mondo che ormai andava completamente a scatafascio ci fosse ancora una così massiccia presenza di locali dalla dubbia reputazione, pur essendo vero che la gente voleva svagarsi e liberare la mente da tutti i tipi di complicazioni. Era da poco passata l'alba nel momento in cui mi apprestavo a tornare a casa dopo una nottata sfiancante. Dovevo abituarmi, prendere il ritmo e forse avrei trovato quello stile di vita meno pesante di quanto in realtà non fosse. Tuttavia, nella mia testa continuava a lampeggiare un cartello con su scritto "Puttana" a caratteri cubitali che non riuscivo ad ignorare. Certo era che non mi vendevo, non ancora almeno, ma chi avrebbe potuto dire quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno mi imponesse di fare di più? Decisi di mandare a quel paese per il momento le mie solite seghe mentali mentre mi quasi strappavo di dosso con una doccia la stanchezza, la puzza di fumo e gli insulti che una vocina di mia conoscenza non faceva che vomitarmi addosso. Per un attimo il letto mi sembrò una prospettiva molto, troppo allettante, ma probabilmente, se mi ci fossi fiondata, non sarei riemersa facilmente dagli incubi che costantemente facevo da quando era iniziata quella storia. Mi accorsi solo in seguito che Will mi fissava da sotto le coperte, un misto di preoccupazione, rabbia e frustrazione nei suoi occhi. A dodici anni io non sapevo nemmeno di poter provare simili sentimenti. Non disse nulla, rimase solo a guardarmi prima di allungarmi una mano con quella che sembrava un pezzo di carta stropicciato, dopodiché si girò dall'altra parte e riprese a dormire, o per lo meno, io volli credere che dormisse. Mi vestii in fretta, uscendo in una mattina più fredda delle altre e come al solito imboccai la strada dello stabilimento in cui, fino al giorno prima, io e la mia migliore amica ci eravamo incontrate, per poi ripetere una serie di gesti meccanici, risalire sul soppalco delle vecchie attrezzature e avvolgermi nella mia vecchia coperta azzurra, l'unica che non mi giudicasse e su cui potevo sempre contare, prima di cadere in dormiveglia seduta con le ginocchia al petto e la testa ciondoloni su di esse.

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    Edited by •ƒillis¸ - 17/9/2012, 18:16
     
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    Non avrei mai creduto che saresti tornata qui
    Ero fuggito, quella mattina, dai lavori sfiancanti che mio padre mi avrebbe affidato. Non per cattiveria, sapevo che avevano bisogno di me per andare avanti. Ma quel giorno era come se il mio istinto mi dicesse di andarsene, di correre lontano, in quel luogo dove molto tempo prima ci riunivamo io, David, Kurt e Regan. Da quando era arrivato Loki avevamo cominciato a sentirci sempre meno e alla fine ci eravamo completamente persi di vista. Io e David ci sentivamo, di tanto in tanto, ma io ero sempre più impegnato e anche la possibilità di fare casino per strada era divenuta meno. Perfino in casa si aveva la paura di essere scoperti, sentiti, come se divertirsi e tornare a vivere normalmente fosse un reato. Anche non lo fosse, come potevamo? Tutto era cambiato, tutto era divenuto oscuro, diverso, pericoloso. Gli Hunger Fight incombevano su di noi coi loro artigli e strappavano i figli alle loro famiglie senza pietà. No, perfino io ero diventato più serio.
    Però lo ammettevo, vederla lì, dopo tanto tempo, mi faceva strano. Ne ero felice, comunque, sebbene non avesse più lo sguardo ingenuo e il sorriso felice che aveva un tempo.
    Uscii dall'ombra, soffiando via una nuvoletta di fumo e andandomi a sedere vicino a lei, le gambe ciondoloni dal soppalco, appoggiato alle assi di legno che formavano una specie di cornicione.
    E' parecchio che non ci sentiamo...
    Aggiunsi, ispirando una nuvola di fumo, senza tornare a guardarla. Ricordavo le sue parole, ciò che provava per me, e tutto quello mi metteva in imbarazzo, e mi faceva sentire in colpa. Già, era davvero cambiato anch'io.


    La tua vita può spegnersi con la velocità di una sigaretta, qui.
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    Il sonno si stava piano piano facendo strada in me, annebbiandomi i sensi nonostante gli spifferi gelati che entravano dalle finestre rotte e dalle fessure tra le assi malandate e di conseguenza, con un movimento involontario, mi strinsi ancora di più nella coperta.
    «Non avrei mai creduto che saresti tornata qui»
    Aprii gli occhi di scatto, sorpresa di sentire quella voce, la SUA voce lì, dopo un tempo che mi era sembrato infinito e durante il quale mi ero convinta di aver dimenticato tutto ciò che provavo per lui, ma era facile dirlo non avendolo visto più dopo l'ultima discussione che avevamo avuto. Tenni gli occhi bassi, fissando il vuoto sotto di noi. Non sapevo se essere felice o no, stava di fatto che l'effetto che la sua presenza mi faceva non era indifferente. Cos'era cambiato in quel periodo? Tutto. Persino io ero diversa. Avevo perso l'allegria, la voglia di divertirmi, se non addirittura quella di vivere. Andavo avanti a forza di inerzia, per i miei genitori, per mio fratello, sperando di salvaguardare, se non la salute fisica, almeno quella mentale. Le uniche cose che erano rimaste immutate erano i miei sentimenti e ciò costituiva già da solo un grande problema. Mi si sedette vicino e per poco non mi lasciai sfuggire un gemito. Avevo paura in un certo senso. Paura di riprendere quel discorso lasciato in sospeso per troppo tempo o semplicemente di averlo a così poca distanza da me. Affondai istintivamente le dita nella stoffa che mi avvolgeva, quasi quella potesse proteggermi, dopodiché sospirai e appoggiai il mento sulle ginocchia, evitando ancora di guardarlo. Era stato proprio nel punto in cui ci trovavamo in quel momento che avevo preso il coraggio a due mani e gli avevo detto tutto, lo stesso che avevo lasciato una volta compreso che era stato stupido anche solo provarci, che non aveva avuto senso ciò che avevo fatto conoscendo lui e il suo modo di fare.
    «Non sopportavo più la tensione. Volevo... Qualcosa dei vecchi tempi.»
    Già, i vecchi tempi. Quelli in cui si poteva fare ciò che si voleva senza strani esseri che sbucavano fuori dal nulla e ti puntavano addosso le loro armi troppo avanzate persino per loro. Quelli in cui si poteva uscire per fare casino ad ogni ora del giorno e della notte e la conseguenza massima era una secchiata d'acqua in testa dalla signora del terzo piano che voleva dormire e alla quale mandavi un insulto dopo l'altro. Quelli in cui quando un ragazzo partiva aveva la certezza matematica di tornare per riabbracciare la propria famiglia non avendo il terrore di morire in un folle gioco al massacro. Ritornai con i piedi per terra e mi concentrai su un attraentissimo batuffolo di polvere che vagava poco distante da me, ancora troppo a disagio per voltarmi dalla sua parte.

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    Mi voltai a guardarla, rimanendo in silenzio, mentre la sigaretta si consumava lentamente, lasciando salire in alto il fumo, disperendosi nell'aria. Anche lei era cambiata, chi non lo era, alla fine. Il suo sorriso, la sua vitalità, completamente sparita, e tutto per un pazzo con le manie di grandezza.
    Chi non le aveva, le manie di grandezza! Chiunque! Pure io spesso sognavo chissà cosa, di avere tante donne, una mega villa con piscina e tanti soldi, ma mai avrei fatto del male per avere tutto questo. Possedere la Terra poi era pura follia. Eppure lui c'era riuscito. Era riuscito a raggiungere il suo scopo e a sconfiggere le persone più potenti della Terra. Ora che erano morti, chi poteva salvarci? Chi aveva la forza di riuscire a sconfiggere Loki? Nessuno. Anche se i Chitauri si fossero ribellati e l'avessero ucciso, a noi sarebbero solo peggiorate le cose.
    Mi chiedevo, però, cosa stessero facendo gli altri mondi. Gli Dei, da dove diceva di provenire Loki e ai quali mai avevo creduto, se ne stavano belli in panciolle a fare cosa? Bere? Mangiare? E noi? Loki era uno di loro, avevano il dovere di venirci a salvare.
    Ma non sarebbe venuto nessuno. La verità era quella ed era inutile illudersi. Persino la Resistenza stava vacillando. Quell'unico barlume di speranza capace di animare gli animi di una piccola, sebbene forte, luce.
    Ma nei suoi occhi non c'era neanche più quella.
    Tornai a guardare di sotto, ciondolando i piedi nel vuoto, per poi lasciarmi andare ad un lungo sospiro.
    Potevi scegliere un posto migliore. Soprattutto ora che questo posto neanche lo puliamo più!
    Sbottai, lanciando via un cumolo di polvere che mi bruciò gli occhi.
    Le lanciai un'occhiata, sperando che, facendo il positivo, le avrei strappato un sorriso. Ma ne dubitavo. In quel periodo nessuno riusciva a sorridere davvero. Ed eravamo già al sesto anno....


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    Sorrisi e finalmente mi voltai a guardarlo. Non era cambiato affatto, tralasciando il fatto che si fosse fatto crescere un po' la barba e non sembrava più intenzionato a farsi la prima ragazza che capitava nella sua visuale. Nel suo sguardo, nascosto bene, riuscii a scorgere il solito bagliore di spensieratezza e sarcasmo che nel vecchio Chase era sempre presente, quello stesso bagliore che in me era totalmente scomparso e la Courtney di una volta mi mancava. Mi mancavano le risate, la libertà di dire, fare e disfare tutto senza alcun limite, mi mancavano anche le sane botte di vita che una volta sembravano pioverci addosso in quantità industriale, dovevo ammetterlo.
    «La polvere conserva meglio le cose, non lo sapevi?»
    Ero ancora stanca, la mancanza di sonno si faceva sempre più pressante, ma la voglia di dormire dopo averlo rivisto aveva raggiunto lo zero prima ancora che potessi realizzarlo davvero. Le mie paure, preoccupazioni inutili, sconnesse e senza un reale motivo di esistere, scomparvero come erano arrivate e appoggiai la testa sulla sua spalla come se niente fosse, apparentemente vinta e abbandonata tra le braccia di Morfeo.
    «Questo è l'unico posto sicuro rimasto e comunque ci sei tu a difendermi se succede qualcosa, no?»
    Una nota di divertimento colorò le mie parole, pronunciate lentamente, mentre nei miei polmoni l'odore del fumo della sigaretta riaccendeva memorie che credevo di aver rimosso ormai. Ricordai persino quando qualche anno prima, il giorno della Mietitura, un ragazzo tedesco era stato scelto come Tributo. Per poco non mi sentii male quando sentii che si chiamava proprio Chase, ma grazie a Dio il cognome era Schneider. All'epoca non avevo ancora una cotta per quello che sarebbe diventato uno dei miei compagni di scorribande, ma eravamo pur sempre amici e non volevo vederlo andare a morire in maniera così assurda.

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    Le sorrisi, iniziando a ridere sommessamente, non per niente stupito di quel gesto. Era normale, per lei e per me, alla fine, comportarci a quel modo. Non avevamo più segreti in fatto di corpo. Eravamo stati talmente tante volte a letto insieme da non ricordarci neanche quando avevamo iniziato.
    Tirai un'altra boccata di fumo, osservandolo perdersi nell'aria.
    Ah, ti proteggerei comunque!
    Risposi in modo spontaneo, fissando davanti a me e rabbuiandomi al suo stesso ricordo. Quella volta pensai davvero di morire. Sapevamo cosa accadeva ai ragazzi che finivano nell'Arena. Oramai erano due edizioni che c'era quello stupido "Gioco", come lo chiamavano loro. Un gioco della morte, che portava ogni ragazzino a morire per cosa? Niente. Non c'era motivo per quei massacri.
    Infilai la mani nel gilè rosso che portavo addosso, porgendole una sigaretta dal pacchetto. Era l'ultima, ma gliela offrivo volentieri.
    Più che conservarle le ricopre. Tieni. Stai morendo di freddo...e anche di sonno se non sbaglio.
    Aggiunsi, ritornando sul discorso della polvere.
    Se mi sentivo in imbarazzo con lei? Assolutamente no. Non che io fossi un tipo che si imbarazza facilmente, ma a maggior ragione non c'era niente da temere con lei. Forse rischiavo di mettere lei, in imbarazzo, ma mai mi ero curato di un fattore del genere.
    Mi grattai il mento, sentendo la barbetta pungere sotto le dita. C'era qualcosa in quella che mi ricordava che non erano più i tempi di una volta, e che non sarebbe stato possibile tornare indietro.
    Sei sparita per un bel pò
    Pronunciai alla fine, lanciandole un'occhiata.
    Dov'eri finita?
    Mi dispiaceva davvero averla persa di vista, così come per Regan; ma lei maggiormente.
    Rimasi ad osservarla per qualche istante in attesa che parlasse, voltandomi solo per osservare la luce dei fari di un auto che passava di là.
    Il coprifuoco era passato da un pò. Se ci avessero trovato lì saremmo stati nei guai.


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    Non appena mi disse che mi avrebbe protetta comunque, per un istante, un solo istante, Chase riuscì a compiere il miracolo di riportare il sorriso allegro e ingenuo che da bambina era solito spuntarmi in viso. Tornai a raggomitolarmi nella mia coperta subito dopo, ma in un periodo in cui tutto sembrava pronto per bruciare all'inferno trovavo splendido che ci fosse ancora qualcuno a cui importasse di me. Aveva ragione, stavo completamente morendo congelata, lo sbalzo termico che il mio corpo aveva subito dal locale a casa, alla doccia gelata, fino a lì in quella mattinata troppo fredda e conseguentemente a ciò voltai il viso verso il suo braccio e gli strofinai contro, nel tentativo di riscaldarlo, il naso che sapevo essere ormai assiderato, così come le guance, le labbra e le punte delle dita, con le quali presi la sigaretta che mi offriva e notai essere l'ultima del suo pacchetto. Da quanto non fumavo? Non riuscivo più a ricordarlo, da molto, molto tempo ormai, comunque. Non potevo permettermelo perché tutto quello che guadagnavo dovevo metterlo nel gruzzolo che a fatica raggranellavamo ogni mese con la mia famiglia, ma per lo meno ero riuscita a togliermi il vizio, mi ripetevo sempre. Quando riaspirai di nuovo il sapore del tabacco, però, mi resi finalmente conto di quanto mi fosse mancato anche quel piccolo sfogo.
    «Sono sempre stata freddolosa, se ricordi. E il mio nuovo lavoro non mi consente di dormire la notte.»
    Non che ci riuscissi di solito. Tutte le immagini orribili che mi passavano costantemente davanti durante i miei sogni erano una tiritera che andava avanti ormai da 6 anni e alla fine avevo rinunciato a farmi una sana nottata di sonno, ripiegando su un massimo di un'ora passata in dormiveglia e su una quantità inimmaginabile di caffè solubile di quarto ordine. Ci misi poco a riappoggiarmi alla sua spalla e chiudere gli occhi, la coperta meno stretta addosso e da cui si poteva facilmente notare quanto fossi dimagrita in quegli anni. Non ero uno scheletro, certo, ma non sapevo quanto ancora sarei potuta andare avanti.
    «Ho lavorato con mio padre alla fabbrica, te lo avevo detto l'ultima volta, ma ieri ho perso il posto e quindi ora faccio la prostituta in un locale notturno.»
    Lo avevo detto con la più assoluta tranquillità nonostante non fosse esattamente tutto vero e non riuscii a trattenermi a lungo dal ridere, soprattutto immaginando già la sua faccia, così dopo un po' ritrattai.
    «Sto scherzando! Faccio solo la ballerina lì. Per il momento...»
    Il mio futuro era incerto, come alla fine quello di tutti a quel mondo, adesso più di quanto non lo fosse mai stato prima, ma avevo ancora una speranza che le cose cambiassero, che tutto tornasse come prima, almeno in parte.
    «Tu ancora con i tuoi?»

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    Capivo come poteva sentirsi, cosa potesse provare, perchè era lo stesso per me tutti i giorni. Il non sapere se sarei tornato a casa, la paura di trovarmi davanti ad uno dei Chitauri, accusato di un crimine non commesso solo perchè avevano voglia di divertirsi, e quindi ucciso seduta stante. O il fatto di non sapere quanto avremmo racimolato col lavoro, se alla fine del mese avremmo avuto abbastanza soldi per mangiare, o solamente per pagare la bolletta della luce. Da quando Loki era al potere nessuno comprava più nulla che avesse un valore frivolo - tranne quei superimilliardari leccaculo che si erano alleati col Dio da strapazzo solo per avere delle comodità. Schifo, tutte quelle persone mi facevano davvero schifo e le avrei mandate all'inferno seduta stante. Già, non avrei avuto pietà di loro. Mi facevano pena.
    Quando si appoggiò a me per la seconda volta alzai il braccio e le circondai le spalle, tirandola a me e tenendola stretta al mio petto così da farle sentire meno caldo. Si sapeva che il corpo umano è la miglior fonte di calore.
    Mi voltai verso di lei quando iniziò a parlare, osservando i suoi capelli rossi dall'alto. Per la posizione in cui eravamo non riuscivo a vederle il viso, ma strabuzzai gli occhi quando disse che lavoro faceva e stavo per staccarmi da lei, iniziando a urlare, quando scoppiò a ridere e si voltò verso di me. Mi fece felice vederla sorridere di nuovo, perchè in un tempo com'era divenuto il nostro ridere era la cosa più salutare, sebbene anche la più difficile.
    Ma il suo lavoro non mi piaceva.
    Sicura non ci siano altri lavori che potresti fare?
    Gurdai altrove, sbuffando e trattenendo il rossore.
    Non è bello per una ragazzina fare un lavoro del genere!
    Non mi piaceva si buttasse via a quel modo. Dal ballare attorno ad un palo all'andare a letto con qualcuno il passo era veramente breve. Certo, io sarei dovuto stare zitto visto che me l'ero fatta senza tanti problemi. Ma io...bè io ero diverso! Non ero un vecchio pervertito schifoso con la bava alla bocca!
    Serrai appena la mascella, abbassando gli occhi e sospirando. Loki...lo avrei ucciso a mani nude avessi potuto.


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    Alzai un sopracciglio quando mi diede della ragazzina e gli puntai l'indice davanti al viso. Non ero certo una donna vissuta, fatta e finita, ma non avevo nemmeno 10 anni.
    «Ehi ehi ehi! Porta rispetto, okay? Il fatto di avere un anno in più di me non ti autorizza a darmi della ragazzina!»
    Non parlavo sul serio, chiunque lo avrebbe capito, soprattutto lui. Dopo anni e anni di battute, scherzi e litigate sapevo che avrebbe distinto benissimo quando lo prendevo in giro da quando invece dicevo le cose come stavano e ripensando a ciò che aveva detto prima mi tornò la voglia di riprendere le vecchie abitudini, almeno per un momento.
    «Perché dovrei cambiare lavoro? Sono brava in questo genere di cose, lo sono sempre stata se ricordi.»
    Mi preparai psicologicamente ad una pessima risposta e alla possibilità che mi scaraventasse giù dalla balconata senza troppi complimenti, feci un respiro interiore profondo e terminai la frase.
    «Devo pensare che sei geloso?»
    Quante volte avevo desiderato fargli uno scherzo del genere? Da quanti anni mi era stata tolta la possibilità di rivolgergli una domanda che, nonostante tutto, sapevo essere negativa solo per ridere della sua reazione? La risposta ad entrambe le domande era una sola: troppe volte e troppi anni. Aspirai un'altra boccata di fumo con eccessiva nonchalance e aspettai, mentre immaginavo come l'avrebbe presa Regan nel momento stesso in cui le raccontavo tutto, vedendomela rotolare dalle risate da un capo all'altro di Berlino. Ridere era la cosa più complicata, ridere era ciò che ci conferiva la libertà a mio parere, ridere era l'atto che Loki aveva ucciso per far posto alla paura, necessaria per il rispetto e la sottomissione. Leggendo un libro una volta avevo incontrato proprio quest'espressione: "Il riso uccide la paura, e senza la paura non ci può essere la fede." Umberto Eco c'aveva decisamente azzeccato inserendo una frase simile nel suo romanzo.

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    Osservai il dito per poi portare lo sguardo su di lei e ridere, afferrandoglielo e lasciandoglielo subito dopo.
    Guarda che sei ancora una bimba! Una bimba alta un metro e un cazzo!
    La presi in giro con la mia solita finezza, dandole un buffetto sulla spalla, per poi tornare a guardare il soffitto pieno di ragnatele. Ragnatele vecchie, nuove, piene di mosche morte e ragni intenti a mangiarle. Oh, una, lassù in alto, nell'angolo a destra, c'era un ragno che se ne stava infagottando una. Era incredibile come la natura avesse imposto delle leggi funzionanti per milioni di anni, mentre noi ci accalcavamo gli uni sugli altri cercando di prevalere. Per loro non era così: la mosca sapeva esattamente che se finiva nella ragnatela per lei era finita. Certo, lottava fino alla fine, ma non cercava di distruggere i ragni andandogli addosso con un esercito di mosche. Per noi invece ogni pretesto era buono per prevalere sull'altro, e alla fine non avremmo ottenuto nulla.
    Posai lo sguardo su di lei, tornando improvvisamente serio a quella finta accusa. In un altro momento avrei riso, ora invece non ci riuscivo.
    Lo facevi bene con me risposi serio, senza toglierle lo sguardo di dosso Ma io ero diverso da vecchietti arrapati. Kurt...
    Mi tirai su, prendendola per un braccio e costringendola a girarsi.
    Non è un lavoro adatto a te, non puoi svenderti così!
    Finii la frase con maggiore enfasi, stringendo appena di più la presa.
    Non volevo vivesse a quel modo, non volevo buttasse via la sua vita, sebbene in un mondo come questo difficile, in questo modo. No. Avere di più era difficile, ma sicuramente lo meritava!


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    Cos'era quella sensazione che stava facendosi strada in me sempre più velocemente? Più guardavo il ragazzo che avevo davanti agli occhi più la sentivo aumentare. Qualcosa che non mi piaceva, che non volevo provare, soprattutto con lui. Provai a ritirare il braccio, ma con scarso successo e quando vi strinse la mano maggiormente mi sfuggì un gemito soffocato.
    «Chase, maledizione, lasciami! Mi stai facendo male!»
    Non pensavo che se la sarebbe presa così tanto. Lo consideravo il mio migliore amico, va bene, potevo dirgli tutto e sapevo che non mi avrebbe giudicata, ma parlando seriamente non avevo mai creduto che gli fregasse così tanto di me da avere una reazione del genere non appena avesse saputo che genere di lavoro facessi. Di quei tempi era già tanto riuscire a trovare un posto con uno stipendio sufficiente per sopravvivere, se per tenermelo avessi dovuto ballare attorno ad un palo davanti ad una massa di vecchietti che mi sbavavano dietro pazienza, avrei sopportato, mi sarei presa di coraggio e avrei ingoiato tutto pur di portare la mia parte di pane a casa, una casa che mi faceva schifo ormai e in cui ero costretta a vivere per forza, ma stop, non sarei andata oltre! Avevo una dignità, avevo un cervello e non li avrei gettati al vento per un pacco di soldi , quello mai, e mi dava davvero fastidio il fatto che lui la pensasse in un simile modo. Divenni rossa dalla rabbia, tanto da arrivare ad averlo ad un palmo di naso, alzata sulle punte e con gli occhi fiammeggianti a causa dell'orgoglio.
    «Hai davvero una considerazione così bassa di me?!? Credi davvero che mi darei al primo che passa solo per una manciata di euro?!?»
    Credetti davvero di odiarlo in quel momento.

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